Perché le/gli assistenti sociali non contano nulla?

Non è vero che non contiamo nulla, ma è vero che non contiamo quanto vorremmo, né quanto ci sembra dovremmo contare. E dando per assodato, visto che sono un assistente sociale, che ritengo dovremmo contare di più, passo spesso le mie giornate cercando di capire cosa ci frega.
L’anno scorso , in questo periodo avevo definito che certo è un problema di genere: siamo in una società maschilista e il fatto che siamo una professione prevalentemente femminile ci penalizza… e sono ancora assolutamente convinto che sia così. Ma ultimamente mi sono accorto che abbiamo anche qualcosa d’altro che ci rema conto.

Ho provato diverse volte, scrivendo questo post, ha spiegare qual’è il problema, ma mi sono reso conto che troppe erano le implicazioni politiche e personali che mi impedivano di scrivere in modo comprensibile e non fraintendibile il mio pensiero.
Ho quindi preferito saltare direttamente alla soluzione a cui tendere, nella speranza che , se quanto scrivo può essere condivisibile, magari un giorno si potrà affrontare davvero la radice del problema.

La soluzione al nostro problema si chiama “principio di sussidiarietà”ed è il principio secondo il quale, se un ente inferiore è capace di svolgere bene un compito, l’ente superiore non deve intervenire, ma può eventualmente sostenerne l’azione. È un principio che si sta affermando su vari piani della realtà sociale, ma che in qualche modo noi avversiamo.

Se questo principio fosse applicato ai servizi sociali vorrebbe dire che l’assistente sociale funzionerebbe più o meno come un medico di base, inviando agli specialisti, o chiedendo la loro consulenza, solo quando non è in grado di agire autonomamente.
L’assistente sociale del Comune diventerebbe il vero case manager della situazione, quello che definisce il problema, decide il percorso da seguire, il vero case manager.

In questo momento non vige certamente il principio di sussidiarietà nei servizi sociali, abbiamo diversi servizi che seguono diverse tipologie di utenti. un’etichettatura, tutt’altro che dignitosa, che spinge gli utenti verso una definizione di se stessi in quanto portatori di un disagio iuttosto che verso la risoluzione dello stesso.
Per l’organizzazione è più semplice, più efficiente, ma non solo è molto meno efficace, ma anche , inutile negarlo , meno gratificante per il ruolo di assistente sociale.
Esiste una forte frammentazione dei servizi e una gerarchia confusa nella gestione dei casi.
Abbiamo deleghe di interi settori che sfuggono al controllo dei professionisti, ma anche delle amministrazioni che poi devono indirizzare i fondi.

Certo, c’è un problema di equità, se i comuni avessero un ruolo (che avevano) così significativo sulla gestione dei casi, si rischierebbe che cittadini del comune A, potrebbero avere più servizi dei cittadini del comune B. Ma la realtà, nel mito dell’efficienza, è comunque questa.

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